Sono dietro, dentro, sotto e di lato, le storie che mi riguardano e che mi hanno portato qui.
Sono ferite, sogni e guarigioni: parlano di mio padre e di mio fratello, di alcune perdite che non riesco a scrollarmi di dosso, anche se di anni ne sono passati. Parlano di una sensazione di abbandono quando qualcuno cambia e se ne va, anche se non era uno qualunque.
Parlano di una visione e di una malattia: di un ospedale in una mattina di giugno, io che mi sveglio e vedo la Holden. Sì, la sogno quando il tempo è cattivo. E sembra una luce lontana.
Le storie che mi riguardano e per le quali sono qui parlano anche di un lavoro che sembrava un sogno ma un sogno non era, parlano del sentirsi diversa, incompresa, compressa, sottomessa da un copione non mio. Parlano di lasciare un altro paese, di andar via da una casa vicino a un ponte, ai murales e a tanta musica. Parlano di tornare in Italia, di trasferirmi in una città del Nord per dare una possibilità a una parete di libri, un desiderio di carta e un racconto di bambina. Le storie che mi riguardano parlano di una ferita, un ago e una guarigione. Hanno dentro la speranza di scrivere un racconto nuovo da costruire adesso, diversamente.
Queste storie cominciano a far capolino dal un muro dove le avevo nascoste. Le avevo messe da parte, sotto la polvere, l’indecisione, i desideri degli altri, la mia paura di non essere abbastanza. Le avevo messe tutte lì, e non c’ero riuscita, quella volta, a dare un nome, a ciascuna di quelle storie. E forse per questo loro hanno gridato più forte, sono tornate: hanno scosso quel muro, come un terremoto o un frullatore. Sono apparse le feritoie, un pezzo di luce, un vuoto, una possibilità.
E adesso sì, a queste storie che mi porto dentro, a questi mattoncini che ho sul cuore, è ora di dare un nome. Sono ancora dietro un muro, ancora un po’, così che proprio tutte io riesca a guardarle. Che ora anche alla storia di quel muro un nome l’ho dato, e anche Icmea, adesso, potrà essere riscritta daccapo.