Washington Dc, Dicembre 2013
Quando ho visto la neve non ho resistito. Appena scesa dal taxi ho lasciato lo zaino e mi sono buttata per terra, pancia in su. Ho chiuso gli occhi e per un momento ero di nuovo su una spiaggia del Kerala. Poi ho cominciato a sentire i pizzichi dell’acqua, della neve che si fondeva a contatto col mio corpo. Sono rimasta lì finché l’umidità è diventata insopportabile, finché ho sentito le prime gocce toccare il maglioncino verde che mi ero infilata appena arrivata.
Ho sentito la sirena di un’ambulanza e poi la voce acuta di una ragazzina gridare: “Mum, come! There’s a girl lying on our courtyard!”
Era la mia nipotina.
È di un freddo crudele, Washington Dc. Quando sono arrivata al Reagan Airport il mio zaino da trekking si è rotto. Ne sono usciti gli incensi, tre statuine di Ganesh, un libro di yoga, i biglietti dei miei amici indiani. Ho preso un taxi e allora sì che l’ho vista, la neve, mentre attraversavamo il Woodrow Wilson Bridge. Mi sono colati addosso tutti i ricordi di Washington, degli young professionals di Capitol Hill, degli Ispanici di Columbia Heights, degli europei di Dupont Circle, dei festaioli di U street.
Ho sorriso. E finalmente sono tornata a casa.
Amo questa città. Ho capito di non poterne fare a meno. Sono sua, anche se non lo sarò mai abbastanza.
Gli ultimi mesi a Calcutta mi sono svegliata con immagini appese tra i capelli. Si depositavano la notte, così rumorose da non lasciarmi dormire. Hanno bussato sempre più forte, finché non ho potuto far nient’altro che ascoltarle. E dar loro una possibilità.
I miei amici, i volontari, Ahmed, mi ricorderanno sorridente, pignola, organizzata. Diranno che amavo i viaggi, che volevo fare le cose a modo mio, che certe volte scappavo. Citeranno le mie battute, la mia testardaggine, i miei sogni ad occhi aperti. Parleranno di me come di una persona che pretendeva tanto, ma dava di più. Rimpiangeranno i miei abbracci, i miei silenzi, le volte che sono uscita sbattendo la porta e tutte quelle che sono tornata chiedendo scusa.
Io che non attraevo, che non ammaliavo, che incuriosivo e basta. Io che vedevo tutto come di passaggio. Io che non avevo avuto ragione.