55 INTERVISTE

Nei testi scompaiono le domande dell’intervista e resta solo la voce di ciascuna persona, che racconta la sua visione della fede o della non fede. Ogni dialogo è stato registrato, scritto e poi trasformato in un pezzo narrativo: senza giudizio, cercando di rispecchiare quanto più possibile la visione di ciascun intervistat*, con il/la quale ho concordato la versione finale del pezzo.

Qui sotto trovi quattro esempi.

Domenico Quirico, giornalista.

LA RESURREZIONE DEI MORTI – DOMENICO QUIRICO

“Ma dai che il diavolo non è poi così cattivo. All’inferno vedrai che ci si accorda”. Mi ha detto un conoscente.

A lui e a quelli che sostengono che le questioni di fede sono tutte storie dico di provare a rischiare la vita.  Arrivate a un punto dove davvero siete lì lì per perderla. Poi tornate da me e riparliamo di Dio.

Io per fortuna non ho avuto una vita banale. Forse è per questo che ho cercato insistentemente delle risposte alle domande fondamentali, le stesse che dovrebbero porsi tutti, anche gli impiegati di banca e gli autisti degli autobus, ma che in realtà diventano rilevanti solo quando accadono certe cose. Altrimenti alla morte pensiamo solo da novant’anni in avanti. Figuriamoci, poi, a quello che c’è dopo.

Io, invece, di fronte ad alcune situazioni di pericolo estremo mi sono chiesto: “Che succederebbe se morissi oggi?”. E non era un’ipotesi. Era una concreta possibilità.

Ho avuto paura e ho pregato. Tutti pregavamo. Se non avessimo avuto fede non so come saremmo potuti uscire da un’esperienza del genere. In quei cinque mesi di prigionia non c’era un termine, né una vaga idea di quanto ci restasse. Senza la fede sarebbe stato intollerabile.

Tante volte in quelle settimane mi sono chiesto dove fosse Dio. Dopo un po’, però, ho capito. Lui era lì.

Se Dio non ci mettesse alla prova cosa dovrebbe fare?

Dovrebbe accontentarsi del tran tran dei nostri riti cristiani?

Gli basterebbe la nostra testimonianza dell’andare alla messa la domenica?
È nelle prove l’espressione della fede, in quella sofferenza che da individuale diventa collettiva, in quel “comunismo del dolore” che ci avvicina gli uni agli altri.

Dio tace. E più è silenzioso più è presente. Il silenzio è la natura stessa del suo rapporto con noi. Per questo credo che sia essenziale evitare di chiedere.

Dio non è un dispensatore di grazie, un self-service di favori. Con Lui si può parlare ma senza la pretesa di essere ascoltati o esauditi. Dio non è tenuto a darci niente. Anzi, spesso sembra assente, lontano. In alcuni momenti, però, lo si incontra. Io, per esempio, l’ho trovato nelle persone che mi hanno aiutato a Tripoli nel 2011, quando i soldati di Gheddafi volevano linciarmi. In quei minuti tremendi in cui rischiavo la vita ho fatto esperienza della fede.

Lo stesso è successo nelle due false esecuzioni vissute durante il sequestro in Siria, nell’angoscia di quei cinque mesi di prigionia. In una situazione del genere si possono usare mille tecniche per far scorrere il tempo: si può immaginare di scrivere un romanzo, ricostruire una vicenda storica, ripensare ai film visti nella vita. Tutti modi per farsi coraggio, per vincere la fatica e scavare il minuto successivo, l’ora successiva, il giorno successivo. Ci sono mille tecniche ma non funzionano.

L’unico che può aiutare è Dio, altro non c’è.

La mia è una fede semplice, attaccata al Vangelo e a un rapporto diretto con Dio.

Penso che ciascuno di noi porti con sé qualcosa di Lui e del suo contrario. Il bene e il male non sono dei valori assoluti, ma sono nei fatti, nelle azioni che compiamo. La divinità di Dio è in fieri in ciascuno di noi. Cresce e diminuisce sulla base delle nostre azioni.

La mia fede è basata sulla figura di Gesù Cristo, sull’unicità della sua testimonianza, sul suo non essere un politico né un rivoluzionario, almeno secondo l’accezione tradizionale del termine. Forse è per questo che Giuda si è inferocito: non poteva accettare di trovarsi davanti un Dio pronto a rendere testimonianza fino alla morte, fino all’estremo sacrificio di sé.

La cosa in cui credo di più è la risurrezione dei morti. Ma non alla fine del mondo. Io credo che sia adesso. Qui e ora.

I morti ci guardano, ci osservano, ci controllano. Sono qui, sempre con noi. Ma non come ossessione, rimorso o angoscia. Come vicinanza. È in questo scatto fuori dal percorso abitudinario della ragione che sta il mondo della fede. In questo è il nostro credere.

Di Dio non si parla mai, invece dovremo parlarne in continuazione, affrontando il tema più importante. Ma dove lo si trova uno che riempie una sala parlando della resurrezione dei morti?

Nemmeno in Vaticano.