“E tu? Torni da paesi tanto lontani e tutto quello che sai dirmi sono i pensieri che vengono a chi prende il fresco la sera seduto sulla soglia di casa. A che ti serve, allora, tanto viaggiare?” 

Italo Calvino, Le Città Invisibili

 

A Gerusalemme cercavo Dio. Invece mi sono ritrovata in una città che ti prende l’anima, l’ammalia e la sconvolge prima di ridurla a brandelli. Gerusalemme è una città dal sapore dolceamaro e dall’odore intenso. Si dorme sui tetti, tra moschee e zanzare; ci si sveglia con i canti che sgorgano per le vie del suq, oltre le chiese e le sinagoghe, fondendosi con gli odori di spezie delle botteghe della Porta di Damasco. È la città del muro del pianto e della moschea di Al Aqsa, del Santo Sepolcro e della Basilica di San Giorgio, della carne di tartaruga e dei succhi di melograno, dei fucili giocattolo e dei cardellini, dei soldati bambini e della nostalgia di Dio. Si sente il dolore, lo sconforto, la rabbia per un Dio che non c’è, che non si fa trovare dalle mille voci che in tutte le lingue lo chiamano da ogni lato. È nascosto e ignorato, il Dio delle consolazioni, sommerso nel mare di tensione che invade queste mura. 

Quel Dio l’ho trovato in India, nel silenzio d’oro di Amritsar e nella povertà di Calcutta, oltre il rumore e la sporcizia, oltre i tuc tuc, i taxi, le bici e gli uomini cavallo

Poi me lo sono portato a Londra, sotto la pioggia battente, oltre le soddisfazioni facili e le gioie passeggere. Gli ho parlato davanti alle luci di Natale di Carnaby Street, illudendomi con le musiche di Oxford Circus, facendomi rubare l’anima per farla vendere ai brokers della city. A Londra ci si può svegliare o perdersi, sperando di essere trovati al momento oppurtuno. 

Non ti succederà mai a Washington Dc, nell’America degli young professionals di Capitol Hill, degli Ispanici di Columbia Heights, degli Europei di Dupont Circle, dei festaioli di U street. Questa America sfacciata che fa i conti col mercato liberale, i problemi dell’healthcare e delle Università, discutendo negli incontri di networking, tra le lobby che contano, nelle feste fino al mattino, dentro i negozi 24/7. Ci ride sopra, la città della Casa Bianca e dei centri di potere, dei bar gay e dei locali trendy, dei caffè simil Bohémien e dei second-hand stores, la Washington di Adams Morgan e della sua musica fino al mattino, della Howard University e delle sue guglie sul Caribe, delle villette di Georgetown e delle Ladies Nights al Centro de F

L’ambizione me l’ha insegnata Dc: per la faccia tosta, invece, sono volata a Las Vegas, sotto il sole ruvido d’agosto. Ci ho trovato una città di cocktail, scommesse e prostituzione, di avidi corpi a stelle e a strisce in un lunapark umano chiamato The Strip.

San Francisco è diversa: la puoi sbirciare sui tram o da un autobus a due piani, guardarla di sfuggita o contemplarla per una vita, dal barrìo spagnolo di Mission, dal parco Dolores o dai locali di Castro. Puoi afferrare il cielo dal Golden Bridge o sfuggire Alcatraz assaggiando un gelato al Fishermen’s Warf.

Di Los Angeles, qui, si sente solo l’eco dei miti: di Venice e dei suoi finti canali, di Santa Monica, di Hollywood e di Rodeo Drive, mentre la notte si spegne, lasciando le bouganville a raccontare l’estate.

A Città del Messico, invece, mi ha portato la rivoluzione, quella schiacciata da Riveira contro il muro del Palacio Nacional, prima di essere liberata dai colori dei dipinti di Frida. DF è un impasto di nuvole, mercati aztechi e simboli maya: si dice che lo Zocalo, la piazza principale della città vecchia, sorga su nove mondi sotterranei, tra chiese e templi aztechi, sopra la metro, nel centro dell’universo Maya. Distrito Federal è una città impregnata di smog, riti e sudore. Ci vivono 22 milioni di persone delle 65 etnie che abitano il paese: credono negli spiriti e scherzano con i morti, festeggiando nei cimiteri con teschi di zucchero. 

Hanno sempre pensato che lo facessi per scappare. O perché ero curiosa del mondo.

Non era vero. Lo facevo per sedermi in quel giardino, di sera, con l’odore di sandalo e di pioggia e di cenere. Sentivo che in quelle città di bastimenti, cammelli ed aquiloni, avrei trovato un indizio sulla strada che mi porto dentro, come se Gerusalemme, Città del Messico, Londra, Calcutta, San Francisco, Las Vegas, Washington Dc potessero replicare dentro di me un pezzo della loro assenza,  camminando veloci nella distanza tra me e il mio vero destino.