Roma, Estate 2015
Hanno fatto l’amore. Lara si avvicina, gli tocca una mano, la spalla, lo abbraccia: riempie con i suoi movimenti quel vuoto: è cresciuta così. Ha lasciato di là, in una stanza verde, il suo vestito, e gli occhiali da sole, e uno dei suoi orecchini. Ha labbra grandi, umide: anche il rossetto è rimasto di là. Ha un viso tondo, gli occhi allungati, tratteggiati da un eyeliner nero, spesso su quella pelle delicata. Quando ride compaiono due fossette, e sembra che la sua frangetta asimmetrica si sposti.
Si erano conosciuti ad una festa, in un loft pieno di quadri, vodka e lanterne. Lui aveva una camicia azzurra, un braccialetto di finta pelle e un paio di pantaloni di viscosa strappati. Era seduto su un puff, a gambe incrociate: non la guardava.
Lei si era messa il suo vestito rosso: quello che non osava mai. Aveva cominciato a osservare quella libreria piena di libri ostili, in tutte le lingue dell’est o forse semplicemente in tedesco: lo faceva sempre per darsi un tono, per fingersi impegnata quando non sapeva dove posare lo sguardo. Anche se c’erano due cose sulle quali avrebbe voluto posare lo sguardo. La prima era un robot. La seconda era Andrew.
In quel momento capì che non le sarebbero più interessati i mazzi di fiori, gli inviti a teatro, le nottate di sushi e pinot grigio, le letture di Neruda, i giri in mongolfiera. Le sarebbe bastato lui.
Andrew aveva origini tedesche, un dobermann e una laurea in filosofia. Era piccolo di statura: trentanove anni e il fascino che solo chi è sicuro di sé sa comunicare agli altri. Aveva studiato a Parigi, a Londra e a New York prima di accettare un lavoro in conflict management che l’aveva portato a Roma. Di due cose non poteva fare a meno: Google calendar ed i podcast. Amava fare un piano per la giornata e scegliere un colore per ogni attività: il giallo per la musica, il rosso per le news, l’arancione per i lavori di casa, il verde per le uscite con gli amici. Detestava non essere informato, perdersi la cronaca dell’ultimo attentato in Yemen. Era abbonato a dodici podcast in tre lingue differenti. Nel suo salotto c’erano quattromila dischi, nella sua camera da letto dieci abiti cuciti a mano.
Lara aveva preso residenza in quell’appartamento in centro: aveva guadagnato un asciugamano a nido d’ape accanto a quello di lui, di spugna grigia, sempre a destra. Aveva portato la sua crema per il viso, la mascherina per gli occhi e un paio di libri. Andrew le aveva dato una scatola di legno per tutti i suoi averi: li aveva messi sul comodino, accanto alle foto e ai peluche. Lara aveva finito per abituarsi alle tende bianche da dove filtrava la luce e al piumino senza lenzuolo in stile nordeuropeo. Aveva perfino smesso di usare quella mascherina: “Batwoman e’ tornata umana”, aveva riso Andrew.
Si svegliavano insieme e facevano l’amore: serviva la terza sveglia per staccarli, per spedirli sotto la doccia, lei per prima mentre lui si faceva la barba con la sua crema Acqua di Parma. Lara ormai conosceva tutti i suoi completi: adorava vederlo uscire con una giacca sempre diversa, quella di lino blu con i bottoni rossi, quella grigia con i gemelli di legno chiaro, quella classica con una riga arancione sui polsi. Amava come lui si vestiva e che le chiedesse consigli; adorava guardarlo farsi il nodo alla cravatta, prenderla per mano e baciarla, lei ancora nuda, lui già vestito.
C’era voluta qualche settimana prima che si prendessero per mano in pubblico, perché si salutassero con quel bacio di fronte al Ministero. Prima di andarsene Andrew le diceva sempre che era bella: lei rideva senza crederci.
Ed ecco che ti innamori, anche se ti eri deciso a non cercartela. Ti credevi al riparo. E invece anche tu passi attraverso le cose del mondo lasciandoti cadere. E capisci che sì, anche tu hai bisogno del peccato, dell’ambizione e del desiderio. E’ già troppo tardi, l’hai sostenuto per troppo tempo quello sguardo.
“Mi porti a casa tua?”
“A casa mia?”
Andrew aveva pregato Lara di fargli conoscere sua madre. Lara aveva storto il naso: gli aveva domandato se era sicuro.
Avevano preso un treno di domenica mattina. Lui era nervoso: era servito un Mc Bacon per farlo tornare felice. Sua madre li aveva accolti sul porticato per gli ospiti. Aveva dei pantaloni a vita alta, una camicetta nera ricamata e scarpe azzurre con un tacco discreto. Collana, orecchini e bracciale di perle. Settant’anni e degli occhiali larghi, blu elettrico, portati con uno sguardo da prima donna.
Aveva trovato Andrew “bassino e con l’aria da Peter Pan”, ma in fondo le era piaciuto, così ben vestito e privo di piercing e tatuaggi. Gli aveva parlato di Lara bambina, un piccolo maschiaccio di tre anni in posa da ballerina. Avevano mangiato lasagne, rostbeef e torta di mele, fatto una passeggiata e preso il treno portandosi via due buste di verdura biologica.
Per quattro giorni non si erano visti. Poi Andrew era andato a trovare Lara sotto casa.
“Mi hanno proposto un lavoro a Parigi”.
Lara l’aveva guardato dritto negli occhi, pronta a dirgli che l’avrebbe aiutato col trasloco, che sarebbe andata a trovarlo ogni due settimane, che i viaggi non le facevano paura, che tanto di ferie e di soldi ne aveva accumulati tanti.
Lui aveva abbassato lo sguardo.
Lara aveva sentito una fitta nello stomaco, un taglio ruvido. Aveva sentito un grigio sporco scavare scuro, dentro. Aveva guardato le mani di lui: per la prima volta si era resa conto che tradivano la sua età.
Andrew non aveva detto una parola, nemmeno a sé stesso. Aveva contato i suoi mattoncini: ne aveva scoperti trenta, all’altezza del cuore. E aveva fatto quello che sapeva fare meglio. Aveva attraversato la strada ed era tornato in quella casa che era priva di rumore, che tanto il rumore lui se lo portava sempre dentro.
Lara era rimasta davanti al portone. Aveva fatto tre lunghi respiri e chiuso gli occhi, mentre un treno passava. Era tornata nel suo appartamento: non aveva pianto, non aveva chiamato nessuno, non aveva risposto ai messaggi delle sue amiche. Aveva mangiato un cuneese al rum, due fette biscottate e una confezione di salmone affumicato. Aveva guardato Amélie, addormentandosi dopo due Martini.
Ed ecco che ti sei innamorata, anche se non eri pronta, anche se avevi paura, anche se pensavi che fosse tutto un gioco, o una bugia. E ti ritrovi a mettere in discussione tutto: le tue passioni, le tue frustrazioni, il tuo corpo, perfino la tua storia. Anche se avevi giurato che non sarebbe più successo, che basta fidarsi, basta lasciarsi ferire, basta perdersi, dopo tutto il tempo che ci hai messo per ritrovarti.
Dopo una settimana Andrew l’aveva chiamata.
Lara era andata da lui: aveva trovato l’appartamento senza mobili e Andrea spoglio e triste. Non c’erano più i comodini, né la cassettiera, né la sua lampada liberty. Spariti i suoi abiti cuciti a mano, le cravatte e i gemelli. Scomparso anche il letto, le lenzuola di lino e quella coperta che sembrava venuta dal Messico. Niente più quadri di Manatthan né poster di Mucha, spedita via anche la sua collezione di dischi, il suo vaso cinese e il suo telescopio.
Andrew avrebbe avuto bisogno di un abbraccio, di un sorriso, di qualcuno che l’ascoltasse, che provasse a capirlo, che prendesse su di sé un po’ della sua solitudine. Avrebbe avuto bisogno che Lara parlasse per lui, che gliele chiedesse, quelle cose che lui non riusciva a dire. E anche che gli urlasse contro, che lo prendesse a schiaffi, che si arrabbiasse come non l’aveva mai vista fare.
Ma Lara no, non riusciva a farlo.
Si erano baciati, avevano fatto l’amore su un materasso bianco. Lei non aveva fatto domande.
Andrew era partito un lunedì. Si erano abbracciati a lungo, senza guardarsi. All’ingresso del gate, lui non si era voltato indietro.